Forum: Italiani o stranieri?

Forum: Italiani o stranieri?

Numero di risposte: 48

Cosa vuol dire crescere in Italia e appartenere anche ad altre realtà culturali? Quali sono i suggerimenti che ci sentiamo di dare perché questa condizione difficile possa migliorare?

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di Sporchia Barbara -
Se la diversità fosse vista come opportunità e non come vincolo diventerebbe un plus da ‘invidiare’ e non un ‘marchio di inferiorità’. Conoscere realtà differenti, vivere fra due mondi, parlare fluentemente più lingue: quanti di ‘noi’ hanno questa fortuna? Dobbiamo forse imparare a mettere l’accento più su questo aspetto che non su difficoltà di inclusione e stereotipi da superare, in classe e nella nostra quotidianità…
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di Mastrangelo Anna -
Il video mi ha fatto riflettere sulla questione della rappresentatività: i ragazzi fanno emergere la necessità che spesso i giovani (ma non solo), di origine non italiana, hanno di riconoscersi nei personaggi influenti della società di cui fanno parte. Nel momento in cui viene a mancare la rappresentatività nei diversi ambiti sociali e culturali, dalla politica alla televisione, viene meno anche il senso di condivisione, unità e appartenenza che dovrebbe esserci in ogni paese per permettere l'integrazione di tutti. Sarebbe utile aumentare le iniziative culturali (come in questo caso la produzione della serie tv "Zero") in cui i protagonisti riflettano le diversità culturali presenti sul nostro territorio.
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di Rizzoli Sabrina -
Dalle testimonianze proposte emerge sempre la difficoltà di vivere tra due mondi e sentirsi nello stesso tempo emarginati da entrambi. I vantaggi legati alla conoscenza di più lingue, culture diverse, tradizioni sono spesso poco considerati ponendo in primo piano le diversità. La situazione è difficile da superare per una questione di preconcetti, stereotipi che inevitabilmente condizionano l'agire quotidiano in diversi contesti.
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di Barbaro Arianna -
Appartenere ad altre realtà culturali e crescere in Italia può risultare una sfida socio-culturale molto ardua: ogni giorno nelle nostre scuole gli studenti di prima o seconda generazione si scontrano con la difficoltà di non riuscire a vivere pienamente il concetto teorico di "intercultura". Infatti, i corsi di italiano L2 organizzati nelle scuole sono orientati maggiormente ad un insegnamento rapido della lingua italiana, che ad un effettivo scambio linguistico tra le due parti coinvolte. Pertanto, un miglioramento in tale direzione, dovrebbe prevedere in primis un perfezionamento di tali corsi con un'apertura maggiore verso le lingue straniere e in secundis una predisposizione culturale e simbolica più ad ampio spettro da parte degli italiani nei confronti degli stranieri.
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di Testa Giulia -
Una ingiustizia molto forte che sento durante le mie lezioni è l'eurocentrismo o l'italocentrismo di storia e letteratura nella scuola. Mi piacerebbe poter leggere e parlare anche di letteratura o storie esterne al nostro continente, per dare più spazio ai vissuti familiari di tutti i gruppi etnici che incontriamo nella nostra quotidianità. Quando uno degli intervistati ha detto "nessuno ci rappresenta", mi ha molto colpita perché è vero: la loro letteratura d'origine non è rappresentata a nessun livello nella scuola dell'obbligo. Credo sia una delle tante urgenze su cui dovremo interrogarci, il prima possibile.
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di Mula Maria Paola -
Penso che il video ponga delle riflessioni sul sentirsi " non visti " in una realtà di vita nella quale si è nati ma in cui non ci si senta rappresentati a livello sociale, culturale e politico . Questi ragazzi se pur diversi hanno parlato di loro di sentirsi parte di due culture diverse quella d' appartenenza e quella in cui sono nati che a volte collimano e che invece dovrebbero integrarsi per poter essere visti e riconosciuti nella loro unicità.
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di Rubini Rossana -
In pochi minuti queste testimonianze spontanee, rilasciate con sorrisi gravati da esperienze "amare", hanno rivelato quanto sia ancora difficile scardinare gli stereotipi e le etichette che pretendono di nominare realtà che restano fluide e preziose nella loro "unitas multiplex". Penso sia importante un percorso di condivisione culturale, che aiuti, con un lavoro di rete fra tutte le agenzie educative presenti nelle comunità, a trasmettere sin dall'infanzia quanto sia arricchente conoscere la propria storia con e dentro altre storie.
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di Beretta Maria Carmen -
I ragazzi del cast di Zero sono italiani e tali si sentono. Non vedo alcun problema a riconoscerlo. Daniela ha ragione quando afferma che una persona deve sentirsi libera, se lo desidera, di specificare le proprie origini. A mio parere, a tal proposito, l'appartenenza a più realtà culturali è una ricchezza, è un più che questi ragazzi hanno. Le loro condizioni di vita purtroppo possono risultare difficili, al punto da sentirsi invisibili. Ma, come dice Giuseppe, quando "... capisce che esistono altre persone che riescono a farti sentire visibile lì ricominci a vivere." Un consiglio: evitare le domande che creano etichette come afferma anche Dylan.
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di Bolognini Laura -
I ragazzi nel video esprimono chiaramente le criticità e le etichette che tutt’oggi permangono nel nostro Paese nei confronti di chi viene percepito come “diverso”. Giovani come tanti, eppure condannati a sentirsi diversi e fuori posto anche a casa loro: in Italia. Soffermandomi a pensare al panorama cinematografico italiano mi accorgo di quanto poco vengano valorizzate e raccontate persone che appartengono ad altre realtà culturali, siano esse nate in un altro Paese o figlie di immigrati. Il cinema è un mezzo di rappresentazione e approfondimento culturale, pertanto, è auspicabile che serie tv come “Zero” diventino la normalità. Oltre al cinema anche le scuole e le agenzie del territorio dovrebbero realizzare frequenti iniziative culturali per rendere visibile ciò che spesso è invisibile.
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di Antonella Bertazzoli -
Il video mi ha confermato nell'idea che in Italia è ancora molto difficile per gli stranieri nati in Italia (di seconda generazione...) essere accettati come semplicemente "italiani" e non etichettati come immigrati, stranieri, diversi…; confermata nell’idea che le frustrazioni e la rabbia, il sentimento di sentirsi esclusi e invisibili, soprattutto nell’età della scuola secondaria di primo grado, sono l’esperienza più frequente.
A questo aggiungo che nella mia esperienza di insegnante di scuola media il problema più spesso affrontato (oltre ai problemi di relazione tra coetanei) è stato il problema di scontro culturale tra ragazzi nati in Italia e genitori che ancora parlano e hanno valori radicati nella propria cultura di origine, valori diversi da quelli che si insegnano a scuola. Lo scontro a volte è drammatico e può portare a situazioni dolorose e di difficile gestione, come ad esempio una ragazzina che si ribella al velo, all’autoritarismo e al maschilismo del padre e fugge di casa, viene sottratta alla famiglia considerata “maltrattante” perché pretende il rispetto dei propri valori ecc. ecc. In questi casi ci si pone il problema di un rapporto più delicato di dialogo tra culture, ci si chiede cosa significhi multiculturalismo: Ecco il problema che più mi ha toccato in questi anni è vedere la difficoltà manifestata dai ragazzi di seconda generazione di integrare le due culture, ma nel video di questo non si parla.
Mi ha colpito il problema della rappresentanza, a cui non avevo pensato. Apprezzo una serie come “Zero” che fornisce modelli cui ispirarsi e in cui riconoscersi; dovrebbero essere potenziate iniziative di questo genere, che rendano il più possibile “normale” la presenza di culture e origini diverse negli “italiani” così come andrebbero resi meno eurocentrici i brani delle antologie e dei volumi di letteratura; andrebbero valorizzate le culture dei diversi alunni con iniziative, eventi in cui si sentano portatori di competenze ed esperienze proprie considerate utili agli italiani doc.; andrebbe valorizzata l’esperienza di cui si sono portatori (bilinguismo, biculturalismo ecc) da considerarsi “plus” e non inferiorità.
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di Re Federica -
Guardando il video ho pensato alle parole di un mio docente universitario di origine tunisina che ad ogni sua lezione, quando parlava di interculturalità, ci faceva riflettere sulla seguente frase: "il mio paese è il mondo!". Concordo con questo pensiero e oggi ne sono sempre più convinta che dovremmo avere una visuale più ampia delle cose. In sostanza non dovremmo avere confini, limiti geografici, etichette, stereotipi culturali ma secondo il relativismo culturale tutto "fa brodo", tutto fa parte di questo meraviglioso, eterogeneo, variegato contenitore che si chiama mondo, dove le differenze coabitano armoniosamente insieme senza interferire negativamente tra di loro. Ecco che la metafora delle dita di una mano del primo video riemerge nuovamente per concludere che la "varietà" più che "diversità" è un valore aggiunto in questa vita. Come si suol dire il mondo è bello proprio perchè vario.
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di Pellegrini Ilaria -
I ragazzi del cast di Zero offrono una prospettiva interessante mettendo in evidenza come l'etichetta "italiani di seconda generazione" possa creare delle differenze all'interno di un gruppo in cui non dovrebbero esserci distinzioni.
La designazione "italiani di seconda generazione" può creare una divisione sottile all'interno della società, sottintendendo che queste persone siano in qualche modo diverse o meno autentiche rispetto a coloro che sono italiani di prima generazione. In realtà, l'essere italiano dovrebbe essere un concetto inclusivo e aperto, che abbraccia tutte le persone che vivono in Italia e si identificano come italiane, indipendentemente dal loro background familiare o dalla loro storia personale. Le differenze culturali e le sfumature individuali arricchiscono la nostra società e non dovrebbero essere motivo di separazione o discriminazione.
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di Milesi Marika -
Mi sento totalmente impreparata a rispondere. Io, che vengo da una famiglia totalmente bergamasca, che studio le lingue sui libri e forse viaggiando, che sono incuriosta da ogni forma di diversità, ma allo stesso tempo vivo gli incontri e le novità con timore, che suggerimenti posso dare? Mi ha colpito la questione sollevata da uno dei ragazzi: "come mi devi chiamare?" Già il fatto che hai bisogno di definirmi "di seconda generazione" vuol dire che mi stai mettendo un'etichetta. Siamo persone, con retaggi socio-linguistici, personali, economici, culturali diversi; siamo tante cose allo stesso tempo. Eppure, se da un lato si sottolinea il volore dell'unicità, dall'altro emerge anche il bisogno di "rappresentanza" a livello sociale, a livello politico. E con quale categoria sociale un ragazzo/a nato in Italia o arrivato in Italia da piccolo dovrebbe identificarsi: "seconda generazione", "figlli di migranti", "italiani", "giovani", "persone di sesso femminile", "persone di sesso maschile","attivisti con ideali"?. Più mi confronto su questioni relative alle lingue e all'intercultura, più mi accorgo che il numero di risposte diminuisce e il numero di interrogativi aumenta.
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di Lomele Domenico -
Haroun Fall, uno dei ragazzi intervistati di origini italo-senegalese, evidenzia l'impossibilità, ad oggi, di vivere in una società in cui l'uguaglianza assurga ad uno dei principi fondamentali, "basilari" degli esseri umani. Essere etichettati come italiani di seconda generazione "genera" difatti assurde distinzioni, generiche ed insignificanti identificazioni. Sarebbe opportuno invece cogliere e valorizzare le diverse opportunità che hanno coloro che coniugano inconsapevolmente origini diverse, intrecciando ed arricchendo così il complesso e variegato bagaglio linguistico e culturale. Altro importante suggerimento è la necessità di creare un reale rifermento politico, culturale che rappresenti queste generazioni , un idolo insomma concreto e non solo proiettato ed iidealizzato in una serie televisiva.
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di Maffei Waldir Roque -
Da cultura a cultura, cambiano parole, concetti e pratiche relative al nostro orientarci e muoverci nei luoghi che abitiamo. La percezione che le persone hanno della stessa identità personale è frutto della cultura nella quale sono nate e cresciute. Come possiamo vedere nel cast del video della Netflix Italia, dove i ragazzi si identificano nati in Italia, ma con dei familiari oriundi in Africa. Dunque, vivono in Italia, ma non hanno dimenticato altre realtà culturale.
Per gli effetti della globalizzazione, nelle nostre città si sono moltiplicati, negli ultimi anni, i colori, i profumi, i caratteri delle insegne dei negozi, le lingue , la moda, il look, il cibo, la musica, ecc. Davvero non si può negare le origini diverse; si deve convivere senza pensare come una situazione escludente, ma una situazione favorevole di interculturalità. Avere un’interazione positiva con una persona di differente origine culturale portando un arricchimento reciproco.
Ogni giorno ci relazioniamo con persone di origine differenti. Anche quando siamo soli, nella nostra casa, senza renderci conto, entriamo in contatto con altre culture.
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di Finazzi Erika -
Mi ha fatto molto riflettere quando si parla di etichettare. Spesso siamo i primi a dare etichette perché vogliamo mettere in gruppo, come se facendo in questo modo possiamo conoscere. Ma non è così: la realtà è molto più complessa, non è fatto di gruppi separati. Conoscere significa avvicinarsi senza giudicare, ma essere in ascolto.
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di Rando Letteria -
Spesso le famiglie mantengono e trasmettono ai loro figli i modelli culturali dello Stato di provenienza e i giovani che, nella sfera familiare ricevono queste impostazioni, nella sfera extra familiare, come nel contesto scolastico e amicale, ricevono stimoli della cultura occidentale, creando così una zona liminale nel quale si ritrovano a vivere. In questo contesto io credo che questi ragazzi si sentano fuori dal mondo, perché il mix culturale li estranea sia dall’ambiente familiare che da quello extra familiare. Non mi sento di dare alcun suggerimento poichè ogni storia ha una propria origine e lo stesso suggerimento non avrebbe valenza comune.
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di Taschini Gigliola -
La nostra società si basa su di un linguaggio che categorizza ed etichetta per meglio comprendere la realtà circostante, considerando, come punto di riferimento per tale scopo la propria individualità; ciò però determina la costruzioni di schemi di pensiero e di comportamento definiti, tendenti a diversificare, dividere anziché concepire sovrapposizioni o commistioni. Similmente avviene per ragazzi nati in Italia da genitori stranieri: costituiscono la "seconda generazione" dove si sottolinea implicitamente la caratteristica di "altro", "diverso" da me. Credo che ciò significhi doversi misurare con una dualità linguistica e culturale non riconosciuta come, invece, unitaria, caratteristica definitoria della ricchezza della persona.
È importante che l'individuazione identitaria dei ragazzi nati in Italia da genitori stranieri sia sostenuta dall'integrazione di tutti gli aspetti culturali della propria famiglia: questo processo è possibile se favorito nei contesti educativi dove poter enfatizzare la complessità identitaria.
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di Giuliani Leonardo -
Crescere in Italia e appartenere ad altre realtà culturali, secondo la mia esperienza, vuol dire viaggiare su un binario parallelo in cui occasionalmente si entra in contatto con gli altri, che in queste situazioni osservano da fuori lo "straniero".
La soluzione sta in decise politiche, anche scolastiche, di integrazione e inclusione. Basti pensare alla presenza nelle scuole del potenziamento disciplinare, ma della marginalità dei progetti di alfabetizzazione o di quelli interculturali.
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di Scandali Sabrina -
Credo significhi avere un plusvalore, la capacità di interfacciarsi a due universi-mondo e "potersela giocare" in più modi. Come se avessi già la capacità naturale di "sconfinare", ovviamente sempre se educata e valorizzata.
Non mi sento di dare nessun suggerimento ma ascolterei i LORO suggerimenti su come fanno a migliorare questa condizione (difficile?).
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di Breno Erika -
I ragazzi del cast di Zero sono italiani. Loro stessi non vogliono essere etichettati e incasellati.
Ci raccontano che da bambini, adolescenti, si sono identificati con idoli al di fuori del contesto italiano e tutt’oggi non si sentono rappresentati. Vivono una condizione di invisibilità quotidiana e pesa su di loro lo sguardo del diverso. La provenienza da realtà culturali diverse rappresenta una ricchezza, un dono, che se condiviso permette di scoprire e avvicinarsi a territori sconosciuti.
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di De Grazia Simona -
Io concordo con il ragazzo che ha affermato che appartenere a due culture sia, in fondo, avere una marcia in più. Ad esempio nel bilinguismo, o nella conoscenza di più culture. Credo che il nodo della questione sia questo. Serve valorizzare ciò che c'è. Puntare sulla ricchezza che una condizione del genere di certo implica. Come farlo? In primis attraverso la scuola e lo sport. Lo scorso anno al termine delle lezioni, la classe di mia figlia ha organizzato una merenda di fine scuola in un parco. Ogni bambino ha portato qualcosa di tipico, anche ricette marocchine, pakistane e ivoriane. Nel vedere che tutti assaggiavano tutto, ho provato un senso di soddisfazione e piacere perchè tutti i bambini si sono sentiti parimenti utili e importanti. Inoltre ho saputo che un'amichetta di mia figlia si è ritrovata a fare da interprete tra italiano e arabo per supportare la comunicazione tra un alunno nuovo, appena arrivato, e le insegnanti e gli altri bambini. Dopo aver assistito a questa scena mia figlia ha commentato: "Che fortuna ha B. a conoscere due lingue così bene, piacerebbe anche a me".
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di Bonetti Antonello Pio -
Crescere in Italia ed appartenere ad altre culture vuol dire non veder rappresentata parte della propria identità e non riuscire a trovare un proprio spazio di rappresentanza. Riprendendo le parole di un ragazzo dell'intervista, la nascita di spazi di rappresentazione per chi appartiene ad una diversa realtà culturale "è un qualcosa che prima o poi doveva avvenire". Come già avvenuto negli USA, oggetto di una prima ondata migratoria in tempi molto più datati rispetto all'Italia, anche il contesto culturale del nostro Paese si aprirà inevitabilmente alle diverse culture che lo compongono. Il ruolo dei ragazzi cosiddetti di "seconda generazione" è importantissimo nella rivendicazione di spazi culturali e di rappresentanza, tuttora assenti. Il consiglio che sento di dare ai ragazzi italiani appartenenti anche ad altre realtà culturali è quello di impegnarsi nel far sentire la propria voce, senza silenziare la diversa appartenenza culturale. Solo in questa maniera il contesto culturale potrà evolversi verso nuove forme culturali capaci di rappresentare ogni cittadino italiano. Sta alla scuola, invece, il compito di rendere agevole tale trasformazione educando i giovani secondo una prospettiva interculturale.
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di Verga Elena -
Dopo la videolezione, che mi ha ulteriormente resa consapevole delle differenze culturali e linguistiche che ci sono anche all'interno di una stessa nazione, il passaggio del video mi ha colpita maggiormente è quello in cui si dice che si dovrebbe evitare di chiedere se si è "italiani di seconda generazione" e lasciare eventualmente alla persona interessata la possibilità di raccontare la sua storia. Tutto ciò mi ha richiamato alla mente una riflessione che nel mio lavoro faccio spesso, cercando di considerare, di vedere ogni persona per quello che è e che ritiene importante per sé stessa.
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di Pievani Frine -
Si dovrebbero esplorare entrambe le culture e approfondirne le conoscenze. Valorizzare le differenze e imparare dalle diverse prospettive. Ciò pemetterà di sviluppare menti aperte e di accogliere nuove idee e modi di pensare. Importante è bilanciare le proprie esperienze culturali in modo da non sentirsi diviso o in conflitto tra le diverse culture.
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di Nargiso Eugenia -
Il video offre l'opportunità di riflettere su diversi aspetti. Innanzitutto il concetto di uguaglianza deve mirare a ideali etici e giuridici in grado di considerare tutti i membri di una collettività come persone, con stessi valori e stessi diritti. Le differenze (culturali) che si denotano in ciascuno di noi dovrebbero essere considerati "valori aggiunti", una ricchezza in più. Solo se l'educazione punterà ad abbattere ogni barriera, ad andare aldilà delle apparenze, potremo, forse, sentirci davvero "cittadini" di un mondo libero e giusto.
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di Baiguini Fernanda -
In generale suggerirei di prendere una serie
di misure concrete che tendano da una par-
te allo sviluppo ed alla crescita armonica dei
bambini ed adolescenti in età prescolastica, scolastica e professionale e d'al-
tra parte a incoraggiare e favorire l'integra-
zione degli stranieri adulti che hanno un grande influsso sullo sviluppo e la formazione dei bambini. Suggerirei di farli partecipare il piu' possibile alla vita pubblica ma soprattutto di integrare le varie culture( lingua, tradizioni...) nelle lezioni a scuola, valorizzandole e usandole come arricchimento.
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di Ornaghi Lucia -
Uno dei ragazzi ha detto: ''Io mi sento invisibile ogni giorno in questo paese'', questa frase colpisce e fa pensare. Nel nostro paese c'è ancora tanto da fare, troppo direi. In un mondo fatto di scambi continui, in un continente come l'Europa che da sempre ha visto passare genti provenienti da ogni dove a partire dalle grandi migrazioni religiose e che fonda il suo essere profondo proprio sulla mescolanza di culture diverse, non dovrebbero esserci discriminazioni. Nessuno dovrebbe sentirsi invisibile, ci sono etnie diverse ma appartengono tutte ad un'unica razza, quella umana.
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di Rossoni Maria Elena -
Come ha detto uno dei ragazzi del cast, nascere o crescere in Italia e appartenere anche ad altre realtà culturali dovrebbe essere un plus, un'opportunità e non un vincolo.
Forse dovremmo smetterla noi adulti di cercare di etichettare tutto ciò che riteniamo essere diverso. Le nostre classi oramai sono sempre più composte da alunni italiani di "seconda generazione" e non c'è cosa più genuina nel vedere come i bambini siano davvero inclusivi e non vedano differenze tra loro. La diversità è una ricchezza e da insegnanti dobbiamo valorizzarla quotidianamente.
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di Mula Maria Paola -
Gentile Professoressa Turchetta , purtroppo per impegni lavorativi ( commissione scolastica) non ho potuto partecipare all' incontro di tutoraggio svolto mercoledi' 21 giugno, sarebbe possibile avere delle slide o del materiale che potrebbe essere utile per la stesura del progetto finale, la ringrazio in anticipo. Distinti saluti
Maria Paola Mula
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di Frigo Tania -
Mi piace dire scherzando che sono un'immigrata di seconda generazione, la famiglia di mia madre arriva dal profondo sud e mio padre è veneto. Due culture familiari molto differenti. Questo ha favorito in me il fiorire di molte domande sulle questioni più disparate: dal rapporto col cibo alla prossemica familiare, dalle questioni religiose a quelle politiche (senza neanche uscire dal territorio nazionale!). In conclusione penso sia una fortuna. Appartenere a più culture, il sentirti sempre in movimento tra più culture, ti permette di mantenere uno "spazio laico" di riflessione che spinge verso una terza via. Questa terza via può essere innovazione, può essere una strada di pace, può abbattere muri e confini!
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di Nava Annamaria -
La nostra identità è costruita e ricostruita attraverso processi di riconoscimento, ma anche per antitesi; "io sono così" ma anche "io non sono così". In contesto sociale, "noi siamo così " ma anche " noi non siamo così ". Però c'è un passaggio successivo che va stimolato e interiorizzato solo se esperito: capire che ciò che è diverso da me ha la mia stessa legittimità. Favorire nella scuola( e nella società) un atteggiamento non giudicante ed empatico, fluido e dinamico, è la base per comprendere che la diversità è stimolante ed arricchente.
In riposta a Nava Annamaria

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di Ornaghi Lucia -

Concordo pienamente, bisogna andare oltre la connotazione negativa che si tende a dare alla parola diverso, solo così ciò che non è uguale a me può davvero essere accolto come qualcosa che può completare. Il razzismo, la xenofobia si basano proprio sulla paura di guardare chi è diverso da noi, perchè è normale che ciò che non conosciamo ci spaventi, ma spesso, le manifestazioni più forti delle discriminazioni si basano proprio sulla paura di riconoscere nell'altro qualcosa che appartiene anche a noi.

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di Cinzia Provesi -
“La saggezza è saper stare con la differenza senza voler eliminare la differenza” [Bateson]
In prima battuta, “partire da zero”, potrebbe anche essere una questione mal posta: chi di noi non porta in sé un multiverso di colori, relazioni, valori e idee? Forse, più che azzerarsi e togliersi etichette per uniformarsi “in una notte delle vacche sono nere” [Hegel] - sarebbe bello indossare uno sguardo più aperto, in ampiezza e profondità, verso noi stessi e verso gli altri. La vera sfida, probabilmente, consiste nell’educarci come persone e nell’imparare ad educare, come professionisti, alla valorizzazione della nostra e dell’altrui ricchezza.
Quanto al secondo interrogativo, per togliere muri e creare ponti all’interno delle nostre classi interculturali bisognerebbe tra l’altro:
1) imparare a valorizzare tutti i codici in senso più inclusivo, compresi quello corporeo ed espressivo (artistico-musicale), come ci invitano implicitamente a fare anche questi ragazzi.
2) Accanto a ciò, trovo imprescindibile una vasta formazione in servizio che ci consenta di imparare ad operare con maggior padronanza l’insegnamento della lingua italiana come L2 (più seguo questo corso più mi rendo conto di quanto io possa migliorare).
3) Nondimeno, credo sia ugualmente importante che perché i nostri alunni non si sentano “invisibili” o “troppo visibili” si includano dal nostro oggetto di formazione dimensioni morali, etiche, religiose e più in generale culturali. Insomma: prima di sanzionare la mancata adesione ad una “regola”, imparare a porci il ragionevole dubbio che l’alunno o il genitore in questione possa non essere stato abituato a vederla, rispettarla o sentirla come sensata.
In riposta a Primo intervento

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di Fabrizia Mansueti -
Dipende molto dalle persone che si incontrano e dalle comunità a cui si appartiene. Credo che in generale, significhi sentirsi ai margini del gruppo sociale di riferimento a meno che non vengano fatte emergere le capacità linguistiche o di adattamento e comprensione culturale di queste persone, e che tali caratteristiche individuali vengano percepite come significative e arricchenti per la società. Come dicono le persone intervistate, sarebbe utile avere modelli di riferimento in cui loro si possano identificare e in cui gli altri li possano conoscere e riconoscere.
In riposta a Primo intervento

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di Russo Tiziana -
Nella mia esperienza di docente e anche familiare, crescere in Italia e appartenere anche ad altre realtà culturali, non è affatto semplice. Gli adolescenti in particolare vivono una complessa fase di sviluppo della propria identità. Il sistema famiglia e il sistema contesto generale sono spesso vissuti come compartimenti stagni e la compenetrazione dei due è ardua. Da una parte "l'Italia", che si sperimenta da poco con l'immigrazione e il rapporto con culture altre (quindi anche la scuola, che inizia solo ora ad avviarsi verso una comprensione del fenomeno e ad attrezzarsi), dall'altra la famiglia che li vorrebbe "integrati", ma spesso non ha strumenti per gestire questa crescita in un paese straniero e teme di ritrovarsi con degli "estranei". Ho percepito con dolore il senso di inadeguatezza di bambini/ragazzi rimproverati da insegnanti perché non hanno un buon italiano a causa delle proprie origini e poi rimproverati a casa perché perdono la propria lingua madre. Ho sentito alunni che quando viene fatto l'appello, dopo il loro nome palesemente straniero specificano "però sono italiano", altri che chiedono se possono fare l'università non avendo la cittadinanza, altri che pensano che italiani e stranieri non possano sposarsi. Il traguardo secondo me è ancora lontano, però almeno si inizia a parlarne, ancor più bello sarebbe vedere questa generazione diventare soggetto e non solo oggetto della scena culturale e sociale italiana. Per me il suggerimento è di investire tanto nella propria crescita personale sul tema specifico e diventare portatori di un pensiero aperto in tal senso, per noi insegnanti è fondamentale perché siamo noi i primi modelli con cui questi bambini/ragazzi si confrontano dopo la famiglia, siamo noi per così dire gli "italiani di riferimento".
In riposta a Russo Tiziana

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di Ornaghi Lucia -

Sono d'accordo con tutto quanto espresso, il lavoro da fare è davvero tanto e spetta soprattutto a noi adulti e educatori lavorare in questo senso. In quanto insegnante di scuola primaria sostengo che la prospettiva educativa sia prioritaria rispetto la didattica, lavoriamo con delle piccole persone che si stanno formando e il nostro approccio e il nostro sostegno sono fondamentali. Nel caso specifico della mia esperienza la maggior parte dei bambini non è seguita a casa in quanto non ci sono gli strumenti per farlo e a scuola purtroppo le ore da dedicare ai bambini stranieri sono davvero poche.

Speriamo che in futuro le cose possano migliorare, ma ho molti dubbi al riguardo,

In riposta a Primo intervento

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di Tombolini Marisa -
Il video "Zero" mi ha fatto riflettere sul concetto di appartenenza cioè il crescente ma naturale bisogno di appartenere a qualcosa o a qualcuno per potersi identificare e trovare il proprio posto in una società che vede il medesimo spazio abitato da etnie, religioni e culture differenti che collaborano e convivono spontaneamente. In questo senso, il traguardo da raggiungere non è la semplice accoglienza, ma la creazione di una cultura condivisa che nasce dal confronto reciproco, dal dialogo e dall'incontro. La scuola è un luogo privilegiato in cui si inizia a costruire il nostro futuro alla scoperta del mondo che ci attende oltre i confini dei nostri amici e della nostra famiglia, entrando in relazione con l'altro e con la diversità. Infatti uno dei compiti della scuola dovrebbe essere quello di educare alla differenza per creare i presupposti di una cultura dell'accoglienza e aiutare a percepire la differenza non come un limite per la convivenza sociale ma come un valore e una ricchezza che ci consenta di crescere in un ambiente innovativo, più produttivo e creativo .
In riposta a Primo intervento

Ri: Forum: Italiani o stranieri?

di Pessina Monica -
Crescere in Italia e appartenere ad altre realtà culturali è cosa complessa e dipende, per la mia esperienza, da con chi vivi, da dove vivi, dalle relazioni che si instaurano e dall’ atteggiamento degli adulti di riferimento (insegnanti, genitori etc).
Ho in mente le classi della mia scuola dove si cerca di accogliere e valorizzare le realtà culturali che la compongono, e sono davvero tante (dalle dieci alle quindici nazionalità presenti per classe), cercando di accompagnare i bambini NAI, nei primi due anni del loro ingresso a scuola, con un percorso di alfabetizzazione attento e curato; la scuola riconosce infatti prioritaria l’acquisizione dell’italiano L2 per una efficace integrazione, alla quale contribuisce in modo importante tutto il gruppo dei pari, insieme agli insegnanti, durante i vari momenti della giornata scolastica. Di contro, in un’altra realtà scolastica di montagna a mezz’ora di strada e dove ho lavorato qualche anno fa, la presenza di bambini rom nelle classi ha rappresentato per il gruppo dei pari, sul quale si è cercato di lavorare, qualcosa “da tener distante”, da evitare e da escludere.
Due realtà tutto sommato vicine ma con evidenti diverse dinamiche di vivere un contesto classe pluricomposto.
Questo mi fa ripensare al video in cui viene detto anche che in Italia si possono fare ancora enormi passi rispetto alla multiculturalità e che in altri paesi, come l’America che cita, nessuno ti chiede se sei un americano di prima, seconda o terza generazione.
E allora cosa fare per cambiare questa difficile situazione? Un suggerimento è quello di provare a mettersi nelle “scarpe degli altri” (ci sono attività ludiche che arrivano dritte al punto); un altro suggerimento potrebbe essere il cambio di sguardo sullo “straniero” così da vederlo prima di tutto come essere umano…difficile in Italia, e non solo, oggi.
In riposta a Primo intervento

Ri: Forum: Italiani o stranieri?

di Michelangeli Morris -
A mio avviso, è necessaria maggior volontà di integrazione... da entrambe le parti... ovvero sia da parte del paese accogliente sia da parte delle persone appartenenti ad altre realtà culturali. Talvolta questa volontà, purtroppo, viene a mancare... per tante ragioni... e questo compromette la convivenza sociale. La questione richiede non solo un approccio socio-culturale nuovo... ma anche dal punto di vista normativo e legislativo. Non sempre è facile cambiare pregiudizi, idee preconfezionate... ma se vogliamo una società progredita... moderna.. al passo con le costanti evoluzioni culturali è necessario intervenire in maniera tempestiva... al fine di evitare problematiche future.
In riposta a Primo intervento

Ri: Forum: Italiani o stranieri?

di Pievani Frine -
Crescere in Italia e appartenere anche ad altre realtà culturali può essere un'esperienza arricchente ma talvolta complessa. La multiculturalità offre l'opportunità di imparare da diverse tradizioni, valori e prospettive, ma può anche generare sfide di integrazione e accettazione reciproca. Per migliorare questa condizione, ci vuole:
apertura mentale alle diverse culture e superare gli stereotipi culturali. Come? con dialogo e scambio per favorire la comprensione reciproca e contribuire a creare un clima di inclusione; con tolleranza e rispetto perché ogni persona è un individuo unico con la propria identità culturale; con partecipazione attiva a eventi, festival e progetti condivisi per favorire la conoscenza reciproca e il senso di appartenenza.
In riposta a Primo intervento

Ri: Forum: Italiani o stranieri?

di Carissimi Elvina Elena -
Dopo aver visto il video mi sono posta alcune domande sul perché ancora oggi molti ragazzi si sentono “NON VISTI” , pur essendo di seconda generazione. Si sentono italiani e lo sono, ma non rinnegano le loro origini! I due mondi dovrebbero fondersi e riconoscere che questi ragazzi forse sono più ricchi di noi… in quanto conoscono lingue e culture diverse dalle nostre!
In riposta a Primo intervento

Ri: Forum: Italiani o stranieri?

di Gualandris Laura -
Non ero intervenuta in questo forum perché non mi sentivo, e non mi sento, in grado di dare suggerimenti o consigli.
E' banale: in classe può essere utile dare visibilità alla diversità, ad esempio nella scelta degli argomenti di studio. Memorizzazione delle capitali: perché solo quelle europee? Sono molte le discipline in cui si possono portare storie ed esempi positivi che non siano limitati all'Italia/Europa.
Per comprenderci, altra ad una specifica formazione, sarebbe interessante esplicitare gli impliciti culturali, magari grazie alle famiglie degli alunni. Realtà culturali differenti possono diventare patrimonio comune se condivise. Prerequisito, il desiderio di conoscere e di farsi conoscere.
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Ri: Forum: Italiani o stranieri?

di De Francesco Orsola -
Vivere a cavallo di due mondi culturali, religiosi e linguistici è arricchente, ma può procurare tanto dolore se il primo mondo è vissuto come perdente; a scuola si è italiani o sentirsi assimilati, quando si ritorna a casa, bisogna cambiarsi "d'abito". La sfida di noi docenti /educatrici è riuscire a comprendere questa sorta di "schizofrenia" rassicurando i nostri studenti che i due mondi possono convivere o potrebbero convivere in armonia.
In riposta a Primo intervento

Ri: Forum: Italiani o stranieri?

di Pievani Frine -
Crescere in Italia e appartenere anche ad altre realtà culturali può essere una sfida, ma offre anche opportunità uniche di arricchimento personale.
Sviluppare un'apertura mentale verso altre culture e tradizioni, cercando di comprendere e apprezzare le differenze.
Mantenere e sviluppare la conoscenza delle lingue delle diverse realtà culturali in cui si è coinvolti, poiché ciò facilita la comunicazione e la comprensione reciproca.
Partecipare attivamente alla comunità sia italiana che di altre culture, cercando di essere inclusivi . Promuovere l'educazione interculturale nelle scuole e nelle istituzioni, sensibilizzando alle diversità culturali e combattendo pregiudizi.
Partecipare a eventi, festival o programmi di scambio culturale per favorire l'incontro e la condivisione reciproca tra diverse realtà.
In riposta a Primo intervento

Ri: Forum: Italiani o stranieri?

di Espedito Simone -
I ragazzi del cast di "Zero" sono nati e cresciuti in Italia e in quanto tale, fanno benissimo a sentirsi italiani. Loro stessi riconoscono di essere a conoscenza delle proprie origini, le manterranno sempre dentro loro stessi e questo secondo me, li rende davvero unici e non li rende assolutamente "italiani di seconda generazione" come qualcuno li ha definiti.
La scuola può svolgere un ruolo importantissimo in tutto ciò, cercando da far da tramite a uno scambio culturale che possa veramente arricchire e ampliare il bagaglio di conoscenze di ognuno di noi.
In riposta a Primo intervento

Ri: Forum: Italiani o stranieri?

di Pievani Frine -
Crescere in Italia e appartenere anche ad altre realtà culturali può essere una sfida, ma offre anche opportunità uniche di arricchimento personale. Per migliorare questa condizione penserei innanzitutto a
sviluppare una mente aperta e accogliente verso altre culture, cercando di comprendere e apprezzare le differenze anziché giudicarle. Imparare la lingua italiana e quelle delle altre realtà culturali a cui si appartiene può agevolare la comunicazione e il senso di appartenenza.Coinvolgersi attivamente nella comunità italiana e in quella delle altre culture può aiutare a creare legami e favorire la comprensione perché riconoscere e valorizzare le proprie radici culturali e quelle delle altre realtà, contribuisce a creare una maggiore integrazione e inclusione sociale.
Sensibilizzare le istituzioni, le scuole e le organizzazioni sulla necessità di promuovere l'educazione interculturale può favorire una società più inclusiva e tollerante.
Combattere i pregiudizi e le discriminazioni può contribuire a creare un ambiente più armonioso per tutte le persone che vivono in Italia, indipendentemente dalle loro origini culturali.
Promuovendo l'apertura mentale, l'educazione interculturale e la consapevolezza delle proprie radici e delle altrui, rende questa condizione più positiva e gratificante per tutti.
In riposta a Primo intervento

Ri: Forum: Italiani o stranieri?

di Maffei Waldir Roque -
In riferimento alla E-tivity sul secondo modulo - Italiani o Seconde generazioni?, se doveva rispondere sul forum:
Guardate l'intervista a sei giovani italiani con origini straniere e partecipate al forum seguente.
Forum: Italiani o stranieri?
Cosa vuol dire crescere in Italia e appartenere anche ad altre realtà culturali? Quali sono i suggerimenti che ci sentiamo di dare perché questa condizione difficile possa migliorare? (fatto questo)